Situationship: la nuova normalità delle relazioni
06 ottobre 2025
Ci hanno venduto l'idea che le relazioni senza etichette siano fallimenti. Poi arriva la situationship.
Le etichette sono tutto. Fidanzato, ragazzo, partner, quello con cui esci. Come se l'amore fosse un prodotto da scaffale che necessita di certificazione. Poi arriva la situationship e manda tutto in cortocircuito.
Non è una relazione. Non è nemmeno un flirt. È quella zona grigia dove vi vedete regolarmente, fate sesso, vi raccontate le giornate, ma se qualcuno chiede "cosa siete?" entrambi fate una faccia come se aveste ingoiato qualcosa di amaro.
Ho passato sei mesi in una situationship perfetta. Ci vedevamo due volte a settimana, dormivamo insieme, condividevamo playlist. Poi sparivo per giorni senza spiegazioni. Lui faceva lo stesso. Nessuno chiedeva, nessuno pretendeva. Era il patto non scritto che reggeva tutto.
Il codice non dichiarato delle situationship
Le situationship hanno regole precise, anche se nessuno le dice mai ad alta voce.
Non nominare il futuro. Qualsiasi frase che contenga "tra un anno" o "quando andremo" è vietata. Si vive nel presente assoluto, come se il tempo fosse sospeso in una bolla dove l'unica certezza è l'incertezza.
Gli orari. Ci si vede dopo le 22, mai durante il giorno. Il pranzo domenicale con gli amici è territorio proibito. Le presentazioni ufficiali non esistono. Sei quella che dorme da lui il martedì sera, non quella che conosce sua madre.
Il silenzio strategico. Sparire per tre giorni è normale. Non rispondere ai messaggi per ore è accettabile. L'importante è riapparire come se niente fosse, con un messaggio che riprende esattamente da dove vi eravate lasciati. Nessuna scusa, nessuna spiegazione. Solo continuità frammentata.
I social non esistono. Niente tag, niente foto insieme, niente cuoricini pubblici. La vostra relazione vive in una dimensione parallela dove IG non può entrare. Se posta una foto e tu appari sullo sfondo, è un incidente da gestire con nonchalance.
Vivere in sospensione tra intimità e distacco
La situationship è comoda perché ti permette di avere l'intimità fisica senza quella emotiva. Puoi raccontargli della tua giornata di merda, ma non sei obbligata a presentarlo alla tua migliore amica. Puoi dormire abbracciata a lui, ma la mattina dopo ognuno torna alla propria vita senza domande.
Il problema è che il cervello umano non è progettato per il limbo permanente. Dopo un po' inizi a chiederti cosa state facendo. Non per romanticismo, ma per pura necessità di categorizzazione. Il nostro sistema cognitivo vuole sapere: questa persona è importante o no? Investo energia o no?
E qui inizia il cortocircuito. Perché nella situationship la risposta è sempre: dipende. Dipende dal giorno, dall'umore, da quanto vi siete visti quella settimana. Non c'è una risposta univoca, solo un flusso continuo di maybe che ti tiene in uno stato di allerta permanente.
il gioco del chi se ne frega meno
La dinamica di potere in una situationship è tutta una questione di distacco performato. Vince chi dimostra di essere meno coinvolto. È un gioco perverso dove l'affetto diventa debolezza e l'indifferenza diventa attraente.
Io sparivo per tre giorni senza preavviso. Lui mi scriveva, io rispondevo quando mi andava. Non per cattiveria, ma perché avevo una vita mia e lui era un accessorio piacevole, non il fulcro. Questo lo rendeva più interessato. Più mi tiravo indietro, più lui si avvicinava. È la fisica basilare delle relazioni moderne: l'attrazione è inversamente proporzionale alla disponibilità.
Ho scoperto che il potere in una situationship non lo ha chi ama di più, ma chi ha meno bisogno dell'altro. Io non avevo bisogno di lui per stare bene. Stavo bene da sola, stavo bene con le amiche, stavo bene con il mio lavoro. Lui era un extra, non una necessità. Questa consapevolezza mi dava un vantaggio strategico che non ho mai sfruttato consciamente, ma che determinava ogni dinamica tra noi.
La verità è che quando non hai paura di perdere qualcosa, quella cosa ti cerca. È controintuitivo ma funziona. Più ero distaccata, più lui voleva vedermi. Più sparivo, più si faceva presente. Non era manipolazione calcolata, era semplicemente il risultato naturale del mio disinteresse autentico per le etichette.
Quando il gioco si inceppa
Poi è successo quello che non doveva succedere. Una sera, dopo il sesso, siamo rimasti svegli a parlare fino alle cinque del mattino. Non del tempo o del lavoro. Di cose vere. Dei suoi genitori separati. Di come i miei abbiano costruito un impero aspettandosi che io ne diventi parte. Ho tutti i titoli giusti ma preferisco stare altrove. Di come entrambi, per motivi opposti, fingessimo di non aver paura di niente.
È stato un errore tattico. Perché dopo quella notte il patto si è incrinato.
Lui ha iniziato a scrivermi durante il giorno. Io ho iniziato a pensare a lui mentre facevo altro. Abbiamo iniziato a vederci anche di domenica pomeriggio, cosa che prima era impensabile.
La situationship stava mutando in qualcosa di diverso. Qualcosa di più pericoloso. Perché una volta che togli il muro del distacco, quello che rimane è solo voi due, nudi e vulnerabili, senza più la protezione del "non me ne frega niente".
Ho visto amiche cadere in questa trappola. Iniziano con una situationship perfetta, controllata, sicura. Poi una notte lui dice qualcosa di troppo sincero. O lei si lascia sfuggire un "mi sei mancato". Il castello di carta crolla e si ritrovano in una relazione vera senza averlo mai deciso consciamente.
L'illusione della libertà
Le relazioni senza etichette promettono libertà assoluta. Niente aspettative, niente obblighi, niente drama. Sei libera di fare quello che vuoi, quando vuoi. Lui non può lamentarsi se esci con altri, tu non puoi reclamare se lui sparisce per una settimana.
Ma è davvero libertà o è solo un altro tipo di gabbia? Quella dove non puoi permetterti di essere vulnerabile, di dire che ti manca, di ammettere che vorresti vederlo più spesso. Dove ogni emozione autentica deve essere filtrata attraverso il setaccio del cool, del nonchalant, del "non me ne frega niente".
Io però quella gabbia l'ho sempre percepita come spazio, non come limite. Non mi mancava mai abbastanza da doverlo dire. Non volevo vederlo più spesso perché avevo altro da fare. La situationship mi andava bene esattamente per quello che era: un contenitore temporaneo per intimità senza conseguenze.
Fino a quando non è più stato così.
Come sopravvivere al Limbo relazionale
Se decidi di entrare in una situationship, devi sapere in cosa ti stai infilando. Non è una relazione fallita, è un format diverso che richiede skill specifiche. Prima skill: gestione delle aspettative. Non puoi aspettarti niente e devi essere okay con questo. Se inizi a fantasticare sul futuro, sei già fuori dal gioco.
Seconda skill: indipendenza emotiva. Devi avere una vita tua così piena che lui diventa un complemento, non il centro. Amici, hobby, altri flirt, lavoro. La tua stabilità emotiva non può dipendere da quanto spesso lui si fa sentire.
Terza skill: comunicazione implicita. Niente conversazioni profonde sul "cosa siamo". Tutto si capisce dai comportamenti, dai silenzi, dalle frequenze. Impara a leggere i segnali invece di chiedere conferme verbali.
Quarta skill: exit strategy. Devi sapere sempre quando e come uscirne. La situationship funziona solo se entrambi potete andarvene senza drama. Se inizi a sentirti intrappolata, è il momento di chiudere.
La data di scadenza invisibile
Ogni situationship ha una data di scadenza, anche se nessuno la conosce. Prima o poi uno dei due si stanca del limbo. Vuole più intimità o meno coinvolgimento. Vuole l'etichetta o vuole sparire completamente. Il punto è che raramente la scadenza arriva nello stesso momento per entrambi.
Io ho chiuso la mia situationship quando mi sono resa conto che stava diventando una routine. Quando ho capito che mi stavo abituando a lui e l'abitudine è il primo passo verso la dipendenza. Ho smesso di rispondere ai messaggi, ho cancellato il suo numero, ho eliminato ogni traccia. Niente conversazioni di chiusura, niente spiegazioni. Semplicemente sono sparita.
Lui ha provato a contattarmi per qualche settimana. Messaggi sempre più insistenti, chiamate, persino un DM su Instagram. Ma io ero già altrove mentalmente. Quando decido che una cosa è finita, è finita. Non c'è spazio per ripensamenti o nostalgie inutili.
Alcune persone hanno bisogno di closure, di capire cosa è andato storto. Io no. Per me la situationship aveva fatto il suo corso e prolungarla sarebbe stato solo perdere tempo. Ho imparato che il modo migliore per chiudere qualcosa che non aveva mai avuto un inizio ufficiale è semplicemente smettere di alimentarlo.
Il verdetto: siamo pixel temporanei
Le situationship sono l'equivalente relazionale di un pixel che si accende e si spegne. Temporaneo, intermittente, mai del tutto definito. Come le immagini di Smateriae, esistono solo finché qualcuno le tiene insieme. Poi si dissolvono e diventano altro.
La verità scomoda è che molte situationship esistono perché è più facile stare nel limbo che fare scelte definitive. È più comodo avere qualcuno a metà che rischiare di avere qualcuno completamente o di restare soli. È la via di mezzo per chi ha paura sia dell'intimità che della solitudine.
Io le situationship le uso come laboratorio. Sono spazi dove posso sperimentare dinamiche relazionali senza conseguenze a lungo termine. Dove posso capire cosa mi piace e cosa no senza dover rendere conto a nessuno. Dove posso essere egoista nel senso più puro del termine: fare solo quello che mi va, quando mi va.
Ma la cosa divertente è questa: mentre stavo scrivendo questo articolo con il cinismo di chi ha tutto sotto controllo, lui mi ha scritto dopo un mese di silenzio. Un messaggio semplice: "Mi manchi".
Ho guardato il telefono per dieci minuti. Poi ho risposto: "Anche tu".
Perché forse la lezione più importante delle situationship non è imparare a non innamorarsi. È capire che puoi innamorarti anche senza etichette, anche senza garanzie, anche senza sapere dove cazzo state andando. L'identità fluida non vale solo per le immagini digitali, vale anche per le relazioni.
La situationship può essere tante cose, ma una certezza non lo sarà mai. E forse è proprio questo il punto. Forse siamo tutti solo pixel che si aggregano temporaneamente, cercando una forma che abbia senso, anche solo per un attimo.
Anche se quell'attimo dura sei mesi. O tre anni. O una vita intera chiamata con un nome diverso.