L'altrove, il nero e la bambina con gli occhi aperti anche di notte

 
Gatto nero con occhi gialli luminosi che emergono dal buio, simbolo di mistero e sensibilità notturna.

Uno sguardo che illumina l’oscurità: silenzioso, enigmatico, notturno.

12 luglio 2025

Manifesto per le anime che vedono attraverso le crepe del mondo

Il silenzio che urla più forte

Da bambina non parlavo molto, perché troppo intenta ad ascoltare davvero. Le parole mi sembravano inadeguate di fronte all'intensità di ciò che percepivo: le crepe nelle persone, i loro silenzi carichi di un'energia che a volte vedevo viola, a volte bianca. E poi c'era quella sensazione costante che qualcosa stesse per succedere — non per caso, ma perché in qualche modo già lo sapevo.

È iniziato tutto lì: il mio primo contatto con l'altrove. Quell'angolo invisibile dove gli altri non guardano mai, quello che ti fa vedere il mondo come se lo stessi spiando da dietro un vetro incrinato o attraverso il fondo distorto di una bottiglia antica. Non era magia, anche se era così che gli adulti chiamavano ciò che non sapevano spiegare. Era sensibilità. Troppa, forse. Ma era mia, e questo bastava.

Innamorarsi del buio

Da allora ho cominciato ad amare il nero. Non il nero elegante da red carpet, quello che rassicura perché è di moda, ma quello che odora di libri vecchi, angoli polverosi e cose non dette. Il nero dei pensieri che si aggrovigliano nelle notti d'insonnia, delle domande senza risposte, delle verità che fanno un po' paura perché ci costringono a guardare oltre le apparenze.

C'è qualcosa di ipnotico nell'oscurità. Non quella che ti paralizza, ma quella che ti accoglie come una coperta troppo pesante in una notte d'estate - ti fa sudare, ti toglie il respiro, ma non riesci a togliertela di dosso perché è tua. Ti avvolge, ti protegge, ti nasconde quando il mondo diventa troppo luminoso, troppo rumoroso, troppo falso. Nel nero posso essere me stessa senza dover spiegare perché i miei occhi si riempiono di lacrime quando sento una canzone che gli altri definiscono "solo triste".

La verità nuda dei teschi

Mi piacciono i teschi perché non mentono. Sono persone che non possono più indossare maschere: è la loro nudità estrema a raccontare l'unica storia che conta davvero. Non sorridono per compiacere, non si adattano ai gusti di tutti, ma sono autentici in modo brutale. E soprattutto rappresentano tutto ciò che resta quando si smette di fingere.

In un mondo dove tutti postano la loro felicità filtrata, i teschi sono l'antidoto perfetto. Ti guardano dalle orbite vuote e ti dicono: "Ehi, ricordati che anche questo passerà". Non è macabro, è liberatorio. È un promemoria che l'unica cosa che conta davvero è ciò che siamo quando nessuno ci guarda, quando le luci si spengono e rimaniamo soli con i nostri demoni.

Educazione sentimentale tra fantasmi e rovine

I romanzi gotici sono stati la mia educazione sentimentale: cuori smarriti che ancora insistono a fare rumore, ombre troppo lunghe per essere naturali, castelli in rovina che custodiscono segreti, e donne apparentemente troppo fragili per restare in piedi… eppure lo fanno. Resistono, persistono, esistono nonostante tutto. Quelle storie mi hanno insegnato che la bellezza può nascere proprio dalla frattura, dalla crepa, dall'imperfezione.

Mentre le mie coetanee leggevano storie d'amore che finivano sempre bene, io mi perdevo tra le pagine di Emily Brontë, divoravo Poe come fosse cioccolato fondente, e trovavo casa nelle atmosfere cupe di Shirley Jackson. Quelle autrici sapevano che l'amore più intenso è quello che fa paura, che la passione vera brucia e lascia cicatrici, che i finali felici sono spesso solo l'inizio di una storia molto più complessa.

Scrivere per non impazzire

Così ho iniziato a scrivere. Non per raccontare il dolore come fosse una medaglia al petto, ma per tenerlo a bada ed esplorare il profondo, l'ignoto, l'inesplorato. Per dare voce a quella parte di noi che vive nell'ombra ma che spesso è la più vera.

Le parole diventano bisturi che aprono le vene della realtà, fanno sanguinare la verità che tutti fingono di non vedere. Scrivo quando il mondo dorme, quando posso finalmente respirare senza dover filtrare l'aria attraverso i polmoni degli altri. Scrivo con le dita che tremano per la caffeina e l'emozione, con il cuore che batte il ritmo di una canzone che nessuno ha mai sentito.

Il territorio dell'intensità

Smateriae nasce da lì: dal bisogno di dare forma al buio, senza necessariamente volerlo illuminare. Perché a volte l'oscurità non è il nemico da sconfiggere, ma il territorio da esplorare, da amare. È lo spazio dove possiamo essere feroci e vulnerabili allo stesso tempo, dove possiamo piangere ascoltando i Joy Division e sentirci capite da chi non c'è più.

Questo non è un posto per anime belle. È per chi ha imparato che l'intensità non è un difetto da correggere, ma un superpotere da coltivare. Per chi sa che dietro ogni sorriso perfetto si nasconde un abisso, e che a volte è proprio nell'abisso che troviamo le cose più preziose.

Un rifugio per le anime troppo acute

Questo spazio non è per tutti. È per chi da piccola vedeva troppo, sentiva troppo, era "strana" senza sapere perché. È per chi ha imparato che essere diversi non significa essere sbagliati, ma semplicemente essere autentici in un mondo che spesso preferisce le copie.

Siamo quelle che collezionano farfalle morte nei libri di poesia, che parlano agli specchi incrinati nei bagni dei locali notturni, che sanno riconoscere il dolore negli occhi delle sconosciute per strada. Siamo le raccoglitrici di ombre, le traduttrici di silenzi, le custodi di tutto ciò che gli altri gettano via perché "fa troppo male guardarlo".

La bellezza della frattura

Se riconosci in queste parole un pezzo di te, se anche tu hai sempre avuto gli occhi aperti anche di notte, forse qui dentro ti sentirai un po' meno fuori posto. Forse scoprirai che la stranezza è solo un altro nome per la profondità, e che l'altrove che hai sempre intravisto esiste davvero.

Non siamo rotte, siamo complete in modo diverso. Non siamo troppo sensibili, siamo abbastanza coraggiose da sentire tutto senza anestetici. Non siamo dark per moda, siamo dark perché abbiamo visto abbastanza luce falsa da preferire un'oscurità autentica.

Il manifesto di chi non si scusa

Qui chi vede troppo può finalmente smettere di scusarsi per la propria intensità. Qui possiamo essere tempeste in corpi di porcellana, vulcani in abiti di velluto nero, oceani in scarpe da combattimento. Qui possiamo amare i nostri demoni senza vergogna, perché sappiamo che sono loro a renderci interessanti.

Questo è il mio manifesto, la mia dichiarazione di guerra contro la mediocrità emotiva. Contro chi ci ha sempre detto di essere "troppo" qualcosa. Troppo intense, troppo sensibili, troppo strane, troppo dark.

Ma sapete cosa? Essere troppo è esattamente quello che ci rende abbastanza per noi stesse.

E se il mondo non è pronto per la nostra intensità, problema suo. Noi continueremo a esistere nel nostro nero, a splendere nella nostra oscurità, a essere magnificamente, indomabilmente, irrimediabilmente troppo.

Benvenute nell'altrove, sorelle. Qui gli occhi si tengono aperti anche di notte, e va bene così.


 
 
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Manifesto per chi brucia dentro